Ciò di cui non si può parlare, si può trasmettere altrimenti. Le trasformazioni della scrittura nell’era digitale.

Giacomo Pezzano

Giacomo Pezzano

Docente di Filosofia Morale

Università degli Studi di Torino

Giacomo Pezzano (PhD) è ricercatore in Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. Con i progetti di ricerca “Philographics. How To do Concepts with Images” e “GraPhil. New Habits in Mind” (programma EU H2020) sta attualmente indagando i modi in cui i media e le tecnologie digitali possono riconfigurare gli abiti del pensiero, con particolare attenzione alla possibile trasformazione della produzione e trasmissione della conoscenza filosofica. Tra le attività in corso c’è anche la realizzazione di un graphic essay filosofico in collaborazione con la Scuola Internazionale di Comics di Torino. I suoi ultimi libri sono: “Ereditare. Il filo che unisce e separa le generazioni” (2020), “4 minuti. Filosofia per i tempi che corrono” (2022), “Pensare la realtà nell’era digitale. Una prospettiva filosofica” (2023) e “D1git4l-m3nte. Antropologia filosofica e umanità digitale” (2024).

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Email: giacomo.pezzano@unito.it

Una delle prime cose che si impara sulla storia è che essa comincerebbe con la scrittura: grazie a essa, gli esseri umani prenderebbero pienamente parte a quel processo di conservazione e trasmissione dei significati che chiamiamo cultura. Finora, come discuterò, scrivere ha significato fondamentalmente registrare e condividere parole, ma questo assunto oggi ha cominciato a smettere di essere valido: non solo in chiave teorica, com’è per esempio ben chiaro a quei semiotici che – comunque a differenza dei filosofi – hanno saputo prendere sul serio la dimensione plurale del segno, ma anche e soprattutto in senso pratico-antropologico. Infatti, una delle conseguenze della rivoluzione digitale o dell’informazione è che il tradizionale primato quotidiano delle parole nei commerci semiotici e delle tecnologie della parola nel mercato mediatico viene prepotentemente scalzato dalle immagini e dalle tecnologie dell’immagine. Chiarendo i contorni di simile scenario, il mio intervento intende svilupparne alcune implicazioni decisive, affrontando di petto una serie di interrogativi, tra cui soprattutto: quali sono le trasformazioni a cui la nostra pratica e la nostra concezione di scrittura stanno andando incontro? In che modo il cambiamento della stoffa fondamentale del patrimonio culturale e semantico in chiave “immaginale” potrà ridefinire gli stessi contorni di che cosa significa pensare? Perché prendere sul serio questi fenomeni può permettere anche di riconoscere e affrontare una serie di ingiustizie epistemiche sinora trascurate?