Ereditare due. Semiotica della trasmissione

Gli incontri della prima stagione del seminario permanente di Etnografie del Contemporaneo intitolati “Ereditare. Semiotica del patrimonio culturale” erano stati progettati, nel 2022, con l’obiettivo di alimentare un approccio semiotico agli studi sul patrimonio che ponesse il problema di de-essenzializzarne l’orientamento. Prediligere il termine eredità rispetto a quello di patrimonio significava, infatti, prendere posizione sulla dialettica irrisolta in un tale ambito di studi fra dimensione materiale e dimensione simbolica dei beni in questione. Dire eredità, nelle intenzioni dei curatori, voleva essere un invito a uscire dalle secche dell’ontologia e delle sue esigenze classificatorie (patrimonio culturale materialeimmateriale, patrimonio archeologicopittorico…) in favore di una idea di territorio simbolico comune. Ecco perché il seminario si apriva con l’intervento di Rayco Gonzalez che, ricalcando le riflessioni poste da Nelson Goodman a proposito dell’arte, ha posto la questione di “quando si dà un documento”, sottintendendo come una tale proprietà non sia nelle cose (i cosiddetti reperti) quanto, piuttosto, emerga come portato di un regime enunciativo peculiare – le cui trame spetta alla semiotica dipanare. 

Gli interventi che sono seguiti (dei due curatori e di semiologi italiani quali Valeria Burgio, Dario Mangano, Tiziana Migliore, Tatsuma Padoan, Mario Panico, Davide Puca, Franciscu Sedda, Carlo Andrea Tassinari) hanno preso le mosse da un tale orientamento condiviso, da una parte, includendo nella loro riflessione il problema della successione – ovvero dell’eredità dei ruoli – e, dall’altra, portando alla ribalta oggetti patrimoniali impensati come quelli legati alle scorie nucleari, al discorso antimafia, alle carote di ghiaccio conservate dagli scienziati a temperature molto al di sotto dello zero… Assumere un punto di vista di questo genere ha altresì portato in luce l’idea per cui non sia possibile pensare a una verità dei reperti a prescindere dalle narrazioni che su essi la società si esercita a condurre. Da qui un’ulteriore via di studio del patrimonio culturale.   

È apparso chiaro come procedere in questa direzione sollevi questioni epistemologiche e metodologiche più ampie di quelle legate alla presa in considerazione del mero patrimonio culturale, e legate piuttosto alla questione più generale dell’eredità e della trasmissione. Ma come concretamente funziona il processo della trasmissione? Quali sono le sue strutture attanziali? Quali quelle enunciative e ancora passionali? La disciplina semiotica può essere investita del compito di ricostruire una prospettica unificata di una tale questione, già esplorata da storici e antropologi, studiosi di diritto e archeologi, oltre che da sociologi. Una tale nuova teoria, orientata a ricostruire l’articolazione sintattica e semantica (e passionale aggiungiamo noi) generale dell’eredità, non potrà che avere come esito quello di rendere confrontabili tali punti di vista. D’altra parte, una volta avanti in un’impresa di questo genere, si potrà procedere, in un’ottica sempre più transculturale, alla comparazione di come le diverse culture si differenzino per il fatto di prediligere o al contrario respingere alcuni tratti pertinenti della sua catena sintagmatica generale ricostruita. Infine, con Saussure, una tale esplorazione auspicabilmente metterà in questione una prospettiva generale sul linguaggio come istituzione umana, contribuendo a rilanciare una visione della cultura e della disciplina semiotica come teoria delle istituzioni da tramandare lungo le generazioni.

Di fronte al mare aperto che tali problemi rappresentano per il semiologo, il seminario intende procedere le sue attività anche quest’anno, proponendo analisi semiotiche che permettano di contribuire al lavoro collettivo di ricostruzione dei meccanismi semiotici della trasmissione, con metodica caparbietà.