Valeria Burgio
Docente di Semiotica
Università Ca' Foscari di Venezia
Abstract
Da una parte oggetti tecnici e dispositivi narrativi, dall’altra frutto della lenta iscrizione dell’aria e dell’acqua su un supporto che si autoconserva in condizioni climatiche idonee, le carote di ghiaccio sono interfacce comunicative attraverso cui la disposizione stratificata degli elementi racconta la storia della terra. Archivi naturali, frutto dell’estrazione da un substrato pre-esistente, questi dispositivi diventano reperti e parte di un percorso e di un racconto museale. In quanto tali, raccontano la relazione tra il tempo dell’uomo e il tempo della terra. Per farlo, applicano griglie interpretative basate sull’umano, basate sulla logica dell’evento e sulla proiezione del tempo storico sul tempo geologico.
Estrapolate a forza da un territorio specifico e trasportate in luoghi dove necessitano di sforzi umani organizzati per essere crio-conservate ed espletare la loro funzione comunicativa, le carote di ghiaccio partecipano di una logica estrattiva che usa l’idea di patrimonio naturale come ideologia antropocentrica – l’idea che la natura sia destinante e agente, l’uomo destinatario ed erede di tutte le risorse del mondo. Nel frattempo però, la relazione tra l’uomo e questi dispositivi opera nel campo della conservazione e non dello sfruttamento, dando voce umana alle memorie stratificate della terra.