Ereditare la cucina. Verso una tipologia

Davide Puca

Davide Puca

Dottore di ricerca

Università degli Studi di Palermo

Abstract

L’eredità è stata un motivo portante del discorso enogastronomico recente, tanto nella sfera dei consumi quanto negli studi accademici alimentari. Tutti abbiamo percepito, nel nostro vissuto quotidiano, quanto l’eredità abbia permeato la sfera alimentare su tutti i livelli seppure con lessicalizzazioni diverse: dalla sfera dei consumi, si pensi all’insistenza sui cibi tradizionali e tipici, a quella politica e legislativa, dove il patrimonio alimentare rappresenta l’innesco frequente per posizioni di difesa e d’appartenenza.

Al contempo, un cosiddetto heritage turn ha attraversato gli studi alimentari in sede accademica: termini passe-partout del discorso alimentare contemporaneo quali tradizione, autenticità, terroir e tipicità sono stati problematizzati assiduamente nell’alveo dei food heritage studies. In realtà, sotto l’ombrello degli studi patrimoniali sul cibo trovano casa fenomeni e posture teoriche quanto mai variegate.

Le scienze sociali hanno indagato i processi di patrimonializzazione alimentare, spesso promossi da organizzazioni nazionali o sovranazionali quali UNESCO e l’Unione Europea. Forme culturali definite intangibili come i saperi alimentari e le pratiche collettive mediante le quali questi saperi si esprimono. Questo approccio evidenzia la processualità che insiste dietro il riconoscimento e la codificazione di pratiche alimentari condivise. Eppure, il passaggio dall’enfasi sul bene a quella sul patrimonio – anche in ambito alimentare – non è priva di conseguenze. 

Analogamente, le scienze storiche e umane hanno insistito sulle istanze identitarie che si nascondono dietro la ripresa in pompa magna di categorie come la cucina regionale e nazionale, o dietro l’idolatria della comunicazione alimentare per le origini. Così come i reperti nel discorso archeologico, anche le pietanze e gli ingredienti servono da marcatori di continuità, all’interno di una prassi tradizionale che si regge su linearità inequivocabili e confini mai mossi. 

In tutti i casi, è evidente come la costruzione figurativa dell’oggetto alimentare ceda il passo alla costruzione del valore. Il cibo come luogo (di investimento) comune: saper fare antichi e sopravvissuti al tempo, aggiustamenti secolari tra uomo e natura, comunità patrimonali dove la produzione alimentare è il trait d’union che identifica il gruppo in funzione del cibo. 

La semiotica può contribuire al superamento del dibattito referenzialista sulla veridicità (o più spesso dubitabilità) storica che attanaglia i discorsi retrospettivi sul cibo. Gli strumenti principali restano l’analisi testuale e la comparazione delle forme di costruzione ereditaria, per svelare strategie discorsive decisamente radicate nel presente.

Video integrale dell’incontro