Come si legge un’immagine d’arte urbana

Il tema dell’edizione di quest’anno è un’occasione per tornare a riflettere sul senso della retorica e farne tesoro. Le figure retoriche, ridotte purtroppo a un mero atto meccanico di riconoscimento, hanno basi semantiche, perché mezzo con cui ogni poetica espone i propri contenuti. E ci ricordano che significazione e comunicazione non sono la stessa cosa. Nella “pasta sfoglia” dei linguaggi la significazione è una questione di forme del contenuto, trasposte in forme dell’espressione; la comunicazione, con la retorica, è una questione di forze, cioè di tattiche e strategie cariche di modalità, investite nelle forme e utili a catturare lo sguardo. Come si distinguono le forze dalle forme? Per leggere adeguatamente un’immagine occorre porsi questa domanda.

Si sa che la figuratività è una dimensione presente sia nei diversi linguaggi, sia nella macrosemiotica del mondo naturale. L’impiego di “figure” retoriche è diffuso ed esteso a prescindere dalla sostanza espressiva interessata. Anche nel visibile, che a confronto con il sistema verbale è stato meno esplorato in proposito, modi e gradi dell’energia sono variabili. Dipendono dalla scelta fra le due operazioni dell’aggiunta (come nel climax, nell’enumerazione, nell’etimologia, nell’ipotiposi…) e della sottrazione (ellissi, sineddoche, reticenza…). Il visibile, come vedremo con le testualità “composite” dell’arte urbana, è poi ulteriormente dotato di forze autonome, non corrispondenti né riconducibili alle figure retoriche canoniche del sistema verbale.

In ogni caso le forze della retorica sono “movimenti che arrecano cambiamento” (Quintiliano), interno – dislocazioni e spostamenti sintattici, sostituzioni paradigmatiche – ed esterno, a livello cognitivo, patemico e sensoriale: sorprese, indignazioni, illuminazioni, turbamenti. Trasformano gli stati di cose e gli stati d’essere. Se il “tropo” volge un piano nell’altro affermandolo (metafora, allegoria, antonomasia…), la “figura” rimane concretamente mobile e sfrutta le tecniche della negazione e del segreto (litote, allusione, ironia…). Il fatto di ristabilire il senso “letterale” rispetto a quello “figurato” può risolvere il problema interpretativo, ma mantiene la tensione doxastica e conserva traccia del percorso compiuto. Tropi e figure retoriche non sono segni isolati, bensì dispositivi discorsivi.

A voler veramente integrare la retorica negli studi semiotici, bisognerebbe rivedere la teoria hjelmsleviana della stratificazione dei linguaggi e la formula della semiosi, aggiungendo il funtivo della forza (F) e scrivendo F|E|C o intendendo Espressione|Contenuto come una relazione Interfaccia|Contenuto. Il piano dell’espressione svolge una funzione fàtica.