Francesco Mazzucchelli
Docente di Semiotica
Università degli Studi di Bologna
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Abstract
Non tutte le eredità sono semplici da accettare, o da lasciare. La scoria radioattiva (ancor meglio quella ad alta radioattività) rientra nella casistica. I semiotici conoscono bene il problema e tanti, da Sebeok a Paolo Fabbri e Francoise Bastide, se ne sono occupati, provando ad escogitare le più visionarie soluzioni (ricordate il ‘gatto radioattivo?) per significare la pericolosità dei depositi di rifiuti nucleari ai (possibilmente ignari) pronipoti del lontano futuro.
E se il problema – semiotico, in ogni caso – non riguardasse più la possibilità di far viaggiare un messaggio di pericolo per decine di migliaia di anni, ma avesse invece a che fare con certe qualità semiotiche di questo maussiano ‘anti-dono’ e delle sintassi comunicative del suo trasferimento intergenerazionale? Il mio intervento rileggerà la questione in quest’ottica, nell’ipotesi che guardare la scoria (oggetto comunque semioticamente interessante) come se fosse un anti-patrimonio culturale possa svelare, in negativo, alcuni meccanismi semiotici dei processi di invenzione, riconoscimento e disconoscimento di quella cosa che oggi chiamiamo patrimonio culturale.