Propp e la serialità nelle fiabe, tra ricorsività e cumulatività

Antonio Perri

Università di Napoli – Suor Orsola Benincasa

Negli anni Quaranta l’aporia già chiara a quanti (Hjelmslev per primo) avevano tentato di risolvere lo “iato” saussuriano fra lingua-grammatica, da un lato e discorsi-testi-atti espressivi dall’altro raggiunse una sorta di tensione massimale, prossima al punto di catastrofe, con l’irruzione dell’approccio formale generativo.

La Grammatica (Universale) postulava infatti la ricorsività specifica come incassamento seriale di strutture dello stesso tipo, presupposto alla base di una competence naturalistica indipendente dalla dimensione storico-sociale tipica dei prodotti discorsivi (generi, stili, canoni…). D’altro canto, però, la Grammatica (Narrativa) che a partire dagli anni Sessanta assurse per molti a langue, spesso altrettanto rigida e formalizzata, mediante cui generare catene-sequenze-combinazioni di frasi (ovvero i testi) finiva col portare alla luce una capricciosa pluralità seriale di variazioni non soggette ai vincoli ascrivibili a una performance“chomskiana” (ovvero empirico-materiale).

L’analisi che Propp dedica alle fiabe cumulative sembra risolvere, alcuni anni prima delle prospettive europee più avvertite, la frattura tra una linguistica biologizzante e una narratologia (o semiotica) strutturali che in prospettiva finivano per rivelarsi sterili. L’approccio formalista spinge lo studioso a definire queste fiabe proprio “secondo il carattere della loro struttura”, in effetti; ma la serialità insita nel fatto che “gli stessi atti o elementi sono ripetuti più volte finché la catena creatasi in tal modo non si spezza o si disfa o si scioglie in senso inverso” è oggetto, nella disamina proppiana, di un’ulteriore distinzione fondata proprio sulla natura della “veste verbale” oltre che sulla “forma e lo stile dell’esecuzione”. 

Da un lato la fiaba-formula, puro schema in cui anelli sintattici uguali si ripetono: tutte le frasi sono molto brevi e hanno la stessa struttura – dunque, potenzialmente, sono annidabili l’una nell’altra in un’unica (macro-)struttura frastica.

Dall’altro la fiaba epica, formata da “anelli epici identici” che tuttavia ricevono forma sintattica diversa e “più o meno particolareggiata”: l’accumulo, la serialità in questo caso e espressione dell’annodamento che si apre all’inatteso e persino all’illogico, dunque prefigura la serialità creativa di una parole non più risolvibile in mere formule sintattico-narrative.

La tensività che conduce all’esplosione della frase nel testo, del semiotico nel semantico (o all’implosione, certo, quale movimento contrapposto di condensazione) è del resto bene esemplificata dall’affermazione proppiana secondo cui “il principio compositivo (cumulazione) in entrambi i casi è lo stesso, e ciò spiega il fatto che qualche volta la fiaba-formula possa essere raccontata “epicamente” e viceversa”.